di Giuseppe Maria Tinnirello
La conferenza stampa di sabato mattina 1 febbraio 2014 è infuocata, una data che di certo i lavoratori della Micron, l’azienda dell’indotto della StMicroelectronics che opera nel site di Catania, non dimenticheranno. Né vogliono dimenticare. “Se ne stanno andando a Singapore” dicono, riuniti nella sala Russo della Cgil, piena all’inverosimile, al numero 40 di via Crociferi. Quella della Micron, multinazionale della microelettronica, è una delle tante storie che ormai, nel panorama industriale internazionale, ci siamo abituati a sentire quotidianamente. Fiat ed Electrolux sono solo le ultime in ordine di tempo. È l’ultima tendenza delle grandi società quotate in Borsa; si può sintetizzare in una sola parola: delocalizzazione. Per competere. In un mercato sempre più globalizzato si deve fare così. Ma questo porta inevitabilmente a tagliare posti di lavoro, e nel frattempo il count down è partito, “rimangono sessantaquattro giorni di tempo” dicono gli rsu aziendali.
La storia comincia nel 2000 quando la St, di concerto con le organizzazioni sindacali, firma al Ministero dello Sviluppo economico un protocollo d’intesa per la costruzione del modulo M6, inaugurato poi in pompa magna a Pantano d’Arci, nella zona industriale di Catania.
Avrebbe dovuto rappresentare il trampolino di ri-lancio del site etneo della St (sul comparto dei semiconduttori incombeva allora la crisi) e l’azienda italofrancese si era impegnata a creare 1500 nuovi posti di lavoro a fronte di un finanziamento di 500 milioni di euro proveniente dalla legge 488 del ’92, quella dei contributi a fondo perduto. Nel frattempo, però, le voci di cessione del progetto-pacchetto M6, cioè di quello che viene sbandierato come il fiore all’occhiello della St, multinazionale della microelettronica, si fanno sempre più insistenti. E così è. L’1 aprile 2008 l’M6 viene venduto per 450 mln di euro a una nuova società, la Numonyx, “quasi un pesce d’aprile” dice sarcastico Francesco Furnari in conferenza stampa, che invita tutti i suoi colleghi ad un civile flash mob davanti al Comune a fine incontro, “per chiedere l’apertura di un tavolo tecnico”. Per la verità di tavolo tecnico si era già parlato in occasione della visita a Palazzo degli Elefanti dell’assessore regionale alle Attività produttive, Linda Vancheri. Nel vertice di lunedì 27 gennaio 2014 con il sindaco di Catania Enzo Bianco, la Vancheri si era affrettata a dichiarare: “Domani saremo presenti all’incontro convocato a Roma dal Governo e la linea che terremo sarà quella concordata con il sindaco. Proveremo a far cambiare idea all’azienda per ridurre al minimo o addirittura eliminare i tagli”. E Bianco rincarava la dose: “L’amministrazione comunale non molla sulla vertenza Micron, saremo anche noi a Roma e con l’assessore abbiamo deciso di aprire qui nel Comune un tavolo permanente per essere sempre operativi”. Purtroppo non molla neanche la Micron che all’incontro romano di martedì 28 ha risposto picche. “Le posizioni assunte dai vertici italiani della società sono state prive di consistenza – ha dichiarato subito dopo il vertice capitolino il deputato nazionale del Pd Luisa Albanella – per questo abbiamo chiesto di incontrare direttamente la proprietà, perché abbiamo l’obbligo di avviare tutte le iniziative necessarie per risolvere l’emergenza e avviare un ragionamento ampio sul futuro della microelettronica a Catania”. Con queste premesse c’è da giurare che le riunioni in Commissione Attività Produttive alla Camera continueranno.
In conferenza stampa la posizione del sindacato è chiara. È netta: “Qui si sta mettendo in atto la logica della rapina ovvero prendi i soldi e scappa. Il Governo nazionale e regionale devono metterci la faccia, o bloccano Micron oppure St deve assumersi le sue responsabilità. St – sbotta Giacomo Rota, segretario confederale della Cgil Catania – non può dire "non li conosco", perché questi lavoratori sono figli di St”. E per una strana coincidenza proprio il giorno della conferenza stampa indetta da tutte le sigle sindacali – dalla Cgil alla Uil a Cisl e Ugl con le rispettive sigle confederali Fiom, Uilm, Fim e Uglm – il titolo StMicroelectronics volava in Borsa guadagnando quasi il 9% (l’indice Ftsmib della borsa di Milano lo quotava a +8,82%). O la borsa o la vita, recitavano gli attori americani nei vecchi film western, ma questo non è un film.
È il luglio del 2007 quando St effettua una cessione del ramo d’azienda del gruppo memorie alla neonata società Numonyx, 1922 i dipendenti sparsi tra i vari site aziendali in tutt’Italia interesatti al passaggio, di questi, 552 sono dipendenti del sito dell’Etna Valley. Tra un passaggio e l’altro si perdono per strada 850 dei 1500 posti di lavoro promessi da St, che non riesce a far decollare il modulo M6. Ma appena un mese dopo, i vertici aziendali della neonata società dichiarano al Ministero dello Sviluppo economico che lo stabilimento M6 non rientra più nei piani dell’azienda. Dei 500 milioni di euro previsti per finanziare il progetto, al ministero ne tornano indietro 463: la Numonyx rifiuta di fatto il finanziamento.
A marzo 2009 arriva un’altra doccia fredda per gli ex dipendenti St, la Numonyx dichiara infatti di voler ricorrere alla cassa integrazione per la totalità dei suoi lavoratori. Alcuni di essi rientrano in St, ma in questo andirivieni i pezzi si perdono per strada e i dipendenti a Catania diventano 401, un’altra bella sforbiciata. Uno stillicidio che anno dopo anno porta dritto nelle braccia della multinazionale americana Micron Technology. Che il 10 febbraio 2010 irrompe nel panorama aziendale catanese con l’acquisizione dei pacchetti azionari della Numonyx di proprietà della St.
Ma le traversie del modulo M6 non finiscono ancora, infatti continua a passare di mano in mano, stavolta svenduto da Numonyx alla 3Sun – fabbrica nata dall’accordo tra St, Sharp ed Enel per la produzione di pannelli fotovoltaici – per 50 mln di euro (lo aveva acquistato per 450 milioni di euro), e nel passaggio da un’azienda all’altra di queste “memorie volatili” vengono ceduti anche 37 dipendenti della società. E il cerchio si chiude. St partecipa infatti in 3Sun con un terzo del capitale di 180 mln di euro, pari a 65 milioni di euro – che costituiscono la quota del modulo M6 costruito con finanziamenti pubblici più i 37 dipendenti di Numonyx – senza metterci nulla di tasca propria. Chi ci rimette sono invece i lavoratori di Micron sparsi nelle varie sedi italiane che da gennaio a dicembre 2013 passano da 3287 a 1075, di cui 324 a Catania.
Acquisizioni, cessioni e scorpori vari però non terminano qui. Un’azienda, si sa, deve fare profitto e stavolta è Elpida, altra azienda del “mercato memorie”, a dare una mano a Micron che grazie alla sua acquisizione balza ad occupare nel 2013 la quarta posizione – dalla decima in cui si trovava appena un anno prima – del ranking mondiale delle prime 20 aziende di semiconduttori, mentre il titolo in Borsa raddoppia il suo valore passando da 6,77 dollari a 14,16 dollari ad azione. Un’azienda deve fare utili, se non fosse che proprio a seguito dell’acquisizione di Elpida, Micron sente il bisogno di razionalizzare – leggi delocalizzare – il personale. Malgrado non sussista alcuna motivazione, a parte quelle dette, il Ceo di Micron, Mark Durcan, annuncia un taglio del 5% del personale delle sue aziende sparse nel mondo; poca cosa in realtà, ma è la premessa per lo spostamento di diverse attività dall’Italia al resto del mondo, e, manco a dirlo, il 14 gennaio 2014 arriva puntuale l’inesorabile doccia fredda: viene preannunciata la procedura di mobilità. Proprio quando lunedì 13 gennaio, il giorno prima, alle ore 22.00 il titolo Micron veniva quotato al Nasdaq, la Borsa di New York, a 23,33 dollari (+220% in due anni), praticamente quadruplicato dai 6 dollari del 2012. La “razionalizzazione” decisa, però, comincia a mietere le sue prime vittime. L’epilogo lo si avrà una settimana dopo. Il 20 gennaio 2014 difatti al Ministero dello Sviluppo economico viene annunciata ufficialmente l’apertura della procedura di mobilità, il che vuol dire licenziamento per 419 lavoratori in tutt’Italia. Di questi 127 sono a Catania. “È evidente – sostengono gli rsu aziendali etnei – che la Micron vuole dismettere totalmente la sua attività dall’Italia”.
Lunedì 10 febbraio 2014
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